Recensioni

I dati aperti e la società della conoscenza

Recensione (pubblicato su Biblionews n. 27 – maggio 2022)

Titolo: Open data and the knowledge society
Autori: Bridgette Wessels, Rachel L. Finn, Thordis Sveinsdottir e Kush Wadhwa
Pubblicazione: Amsterdam University Press, 2017

In Open data and the knowledge society si parla di ecosistemi di dati aperti per la trasformazione dell’attuale “società dell’informazione” in una compiuta “società della conoscenza”. Gli autori prendono in considerazione cinque casi di studio che fanno riflettere su differenti strategie per trattare i dati. Il libro non parla delle fasi di scoperta o pubblicazione di conoscenza, ma di quelle di produzione e consumo, che in questo periodo storico sono processi importanti perché “la crescita della conoscenza teorica e codificata, in tutte le sue varietà, è centrale per la società post-industriale”; viviamo infatti in un’epoca in cui i fatti giungono a noi attraverso mediazioni e registrazioni e non attraverso l’esperienza diretta e personale.

Open data and the knowledge society si chiede come preparare il mondo moderno al prossimo step di vita tecnologica: cioè come passare da una “società dell’informazione” a una “società della conoscenza”, quella in cui i dati – antichi e moderni, tecnici, culturali, digitali e scientifici – siano disponibili allo stesso modo in tutti i settori e per tutti gli utilizzatori.

Questa “società della conoscenza”, in cui la creazione di nuova conoscenza (definita come collezione cumulativa dei dati prodotti o scoperti) è centrale per il mantenimento della società, sembra sempre imporre un “passaggio verso il relativismo”, ovvero l’accettazione, all’interno di specifici paradigmi, di punti di vista autonomi o alternativi tali da minare la consolidata aderenza scientifica all’oggettività.

In realtà ci siamo già avviati verso questo relativismo e ciò rende tanto più importante il modo in cui la conoscenza sarà condivisa perché, sostengono gli autori, “in senso lato, una società della conoscenza è quella che genera, elabora, condivide e rende la conoscenza utilizzabile per migliorare la condizione umana”.

Quello che ci preoccupa in questo periodo è l’abuso dei dati e delle registrazioni sulla nostra vita, che dovrebbero essere privati, ma sempre più spesso non sono conservati in modo adeguatamente riservato. La chiave per una società produttiva è trovare un modo per permettere che queste registrazioni siano rese note in modo corretto, quando lo devono, siano comprensibili senza alterazioni, siano trasparenti, e si integrino correttamente in reti di dati su di noi e sugli altri in modo conforme.

L’attuale regime dell’informazione, in cui le “fake news” imperversano ci mette in guardia dal metterci in una posizione in cui non esista, by design, una gerarchia di produttori di conoscenza. Ma se ci viene “permesso” (ad esempio grazie all’ampia disponibilità di informazione su Internet) e ci viene scaricato addosso il compito di indagare la fonte di ogni affermazione, allora ci troveremmo nell’incomoda posizione di avere l’obbligo di farlo, così che a ogni individuo sia richiesto di diventare l’editore delle notizie che riceve. Un lavoro a tempo pieno!

Open data and the knowledge society è il prodotto di una ricerca chiamata RECODE (policy RECommendations for Open access to research Data in Europe), in cui sono stati seguiti cinque casi di studio – basati su: ricerca clinica e salute, archeologia, scienze ambientali e fisica delle particelle, bioingegneria – per vedere come dati tanto differenti tra loro avrebbero potuto essere trattati.

Sui dieci capitoli del libro, quattro affrontano i suddetti casi di studio in un’ottica più ampia, in modo da trattare anche preoccupazioni etiche. In definitiva, il libro non si occupa direttamente di questioni tecniche sui dati, ma affronta la visione generale della gestione dei dati. I successivi capitoli forniscono ampie introduzioni al tema con un livello di dettaglio adeguato a chi non ha familiarità con questi argomenti.

Sono definite tre categorie primarie di dati: dati della ricerca, che includono dati accademici e GLAM (gallerie, biblioteche, archivi e musei); dati governativi, che includono molte informazioni statistiche, ambientali e di censimento; big data raccolti da imprese private. All’interno di questi confini più ampi ci sono infinite sfumature possibili, ma le distinzioni generali sono utili per tenere traccia dei potenziali fattori legati alla motivazione della raccolta dei dati (ad esempio considerando se sono raccolti da una ONG, dallo Stato o da un’organizzazione a scopo di lucro).

I dati e le relative basi di conoscenza sono descritti come ambienti, ecosistemi o economie e non come ammassi statici di informazioni. Questi ecosistemi sono considerati come mondi vitali e gli esseri umani vivono anche all’interno di questi mondi, e la loro vita fisica è ostacolata o ritardata da quella nei mondi di dati, talvolta riescono a rimanere indifferenti perché vi si autoescludono (cioè esercitano, per quel particolare mondo, un’opzione di uscita, opt-out).

Una persona quindi vivrebbe sia nel mondo fisico, sia in tanti di questi mondi creati ciascuno da un gestore di dati aggregati, dove è presente come profilo (altrove viene evocato il concetto di gemello digitale).

Si potrebbe dire che le persone abbiano sempre vissuto in mondi di dati poiché abbiano sempre comunicato, ma il cambiamento attuale riguarda la quantità di informazioni raccolte da altri per determinare i movimenti odierni o le scelte di chi vive nel mondo reale.

Attualmente, l’esposizione a informazioni che provengono dalla mediazione informatica supera di gran lunga le proprie esperienze sensoriali. Quando percepiamo qualcosa, ormai è spesso frutto di mediazioni (di mediazioni di mediazioni ecc.) e la sorgente iniziale di quella percezione è spesso a molti livelli di distanza. Questo che stimola il movimento Open Data: solo se il percorso che parte dalle sorgenti fosse chiaro potremmo prendere decisioni più informate, giungendo a società migliori.

Anche se Socrate era scettico sullo scrivere i pensieri, e la stampa da Gutenberg ai giorni nostri ha sempre avuto i suoi avversari, il tempo va inesorabilmente avanti. È inutile immaginare che il nostro rapporto con la conoscenza possa essere statico, quindi il problema rimane come navigare in un mondo così saturo di dati.

Non ci sono soluzioni ideali, ma abbiamo un compito: “aiutare i ricercatori e il pubblico a trovare la loro strada attraverso la massa di informazioni scientifiche e i dati di ricerca per identificare il materiale che meglio si adatta al loro scopo”. Open data and the knowledge society individua diversi problemi tra cui quelli di “interoperabilità” dovute a “una eterogeneità significativa” a livello tecnologico e legale, così come questioni finanziarie. Alla fine “condivisione non significa accesso libero e illimitato a tutti i costi”. Per esempio restano sempre aperti i problemi di estensione del consenso, cioè la possibilità o meno di usare i dati per lunghi periodi o in nuovi contesti, sia in termini di riutilizzabilità pratica, quando cambiano le tecnologie, le protezioni e i metodi di conservazione dei dati.

Il libro espone anche molti esempi in cui risulta difficile mantenere l’accesso libero (o privato) a grandi quantità di informazioni, e ricorda al lettore che le informazioni sono difficili da gestire e talvolta impossibili da integrare. Rispetto all’idea comune che l’informazione sia “il nuovo petrolio” (in riferimento a Kroes, 2013) per il settore commerciale, gli autori affermano ottimisticamente che è piuttosto “simile a […] una fonte di energia rinnovabile che continuerà a fornire benefici a cascata”. Non manca il richiamo alla responsabilità verso i grandi raccoglitori di dati aziendali per la costituzione di una società della conoscenza basata realmente sull’”uso trasparente e affidabile dei dati” nelle imprese economiche.

La conclusione principale del libro rimanda a un’indagine più lunga e articolata, perché “l’idea di una società della conoscenza è ancora poco teorizzata e poco studiata”. Ci chiediamo sempre troppo poco “come la conoscenza è intesa nella società contemporanea, come può essere condivisa e quali valori dovrebbero essere alla base di una società della conoscenza”. Open data and the knowledge society è un buon modo di mettere sul tavolo queste domande, e mostra come la versione moderna, e forse più banale, della conoscenza in cui siamo radicati – la conoscenza non come esperienza vissuta ma come tecnologia condivisa, cioè conoscenza codificata o dati – modellerà il nostro futuro nel bene e nel male. È dovere di tutti prendere parte alla definizione del mondo che lasceremo in eredità. L’Open Data non è qualcosa che può essere semplicemente preferito; deve essere organizzato, motivato, integrato e gestito in una varietà di modi se si vuole che accada. Il progetto di ricerca dell’Unione Europea, nell’ambito del 7o programma quadro, da cui ha tratto origine questo lavoro non è stato ulteriormente finanziato.