Recensione (pubblicato in Biblionews n. n. 26 – aprile 2022)
Titolo: Uncertain archives. Critical keywords for big data Curatori: Nanna Bonde Thylstrup, Daniela Agostinho, Annie Ring, Catherine D’Ignazio, Kristin Veel Editore: The MIT Press Pubblicazione: febbraio, 2021
La visione di Uncertain archives. Critical keywords for big data è ambiziosa. Il volume riunisce una serie di relazioni sulla conoscenza collettiva e mette in discussione concetti e terminologia del mondo dei “big data”. L´introduzione e i 61 contributi sono più di un semplice glossario sull’argomento. I curatori si propongono di offrire “dialoghi interdisciplinari tra studiosi, attivisti e artisti di una moltitudine di discipline”.
L’introduzione motiva il volume e descrive tutti i temi generali relativi a “incertezza” e “archivi” che si dipanano nei differenti contributi. I curatori sono particolarmente interessati ai modi in cui i big data promettono certezza mentre poi generano incertezza.
La realtà è diventata più prevedibile grazie alla raccolta e allo sfruttamento di nuovi modelli di dati. I sostenitori dei big data affermano di essere in grado di anticipare e controllare nelle loro previsioni ogni tipo di rischio in campo economico, ecologico, medico, legale, ecc. Tuttavia le tecnologie basate sui dati prosperano principalmente quando sfruttano opportunità insolite e altamente redditizie nelle situazioni di incertezza, ad esempio nel trading data-driven ad alta frequenza.
Nel volume si sostiene che l’incertezza è una “forma pervasiva di governance del liberismo” e i big data possono essere intesi come strumenti di produzione e distribuzione dell’incertezza all’interno di questo modello.
I big data non solo scoprono e rivelano, ma anche nascondono e aggirano. Organizzano la conoscenza e l’informazione per includere oggetti specifici in modo selettivo, parziale e strategico, negando sempre il loro valore materiale profondo.
Il volume ci invita a dare un senso a questi fenomeni come parte di storie archivistiche più ampie che mostrano quali ingiustizie e preoccupazioni si riflettono nelle pratiche contemporanee dei dati.
La digitalizzazione e altri sviluppi tecnologici incidono anche sul deterioramento dei sistemi di archiviazione. In quest’era di big data, ci è stato detto che il concetto di “archivio è cambiato: si va dal regime dell’informazione del passato al regime della previsione del futuro”. Questo comporta anche importanti cambiamenti nell’ambito e nella natura degli archivi.
I saggi del libro coprono un’ampia gamma di approcci tratti da una varietà di discipline, tra cui filosofia, teoria culturale, informatica, statistica, sociologia, geografia politica, design e studi sulla conoscenza.
Alcuni capitoli introducono concetti e approcci innovativi come il contributo di Sumita S. Chakravarty Migrationmapping, che offre una genealogia critica delle pratiche di mappatura nel caso della migrazione umana e propone di considerare come la creazione di queste fondamentali forme di rappresentazione influenza la nostra percezione del fenomeno.
Si toccano altri temi importanti, come Abuse di Sarah T. Roberts e Expertise di Caroline Bassett, o come l’impegnativo contributo filosofico di Luciana Parisi Instrumentality sulla strumentalità, oppure infine il capitolo di Louise Amoore su Ethics che affronta il tema usando gli argomenti della sua ultima monografia sull’etica dei sistemi Cloud.
La copertura interdisciplinare del libro è impressionante, ma proprio per questo risente di un difetto classico di questo tipo di opere: una dispersione tematica che non sempre lascia intendere con chiarezza il nucleo dell’argomentazione. Sebbene il libro nel suo insieme riguardi i dati, la maggior parte dei capitoli pone maggiore enfasi su tecnologie e sui software basati sui dati.
Nel contributo di Erik Ulman ‘Conversational Agents’, per esempio, si riconosce che “il loro [degli agenti conversazionali come Amazon Alexa, Apple Siri, Microsoft Cortana, ecc.] apprendimento dai big data non è affatto una rivoluzione, ma piuttosto solo un significativo progresso incrementale”. Alla fine rimane indefinito il problema se includere negli “archivi big data” tutto ciò che riguarda la società o una parte limitata rispettando forme più stringenti di privacy.
In definitiva Uncertain archives è una sfida, non semplice, alla definizione di un progetto collettivo che si limiti non solo a definire o mappare un campo, ma vuole costituire un’”alleanza impegnata” per portare una forma di pensiero critico, che appare necessario, nel campo troppo spesso astratto e alienante dei big data.
Daniela Agostinho Postdoctoral Fellow presso l’Università di Copenaghen
Catherine D’Ignazio Professoressa presso il MIT
Annie Ring Lecturer presso l’University College London
Nanna Bonde Thylstrup Professoressa presso la Copenhagen Business School
Kristin Veel Professoressa presso l’Università di Copenaghen
Recensione (pubblicato in Biblionews n. n. 26 – aprile 2022)
Titolo: Uncertain archives. Critical keywords for big data
Curatori: Nanna Bonde Thylstrup, Daniela Agostinho, Annie Ring, Catherine D’Ignazio, Kristin Veel
Editore: The MIT Press
Pubblicazione: febbraio, 2021
La visione di Uncertain archives. Critical keywords for big data è ambiziosa. Il volume riunisce una serie di relazioni sulla conoscenza collettiva e mette in discussione concetti e terminologia del mondo dei “big data”. L´introduzione e i 61 contributi sono più di un semplice glossario sull’argomento. I curatori si propongono di offrire “dialoghi interdisciplinari tra studiosi, attivisti e artisti di una moltitudine di discipline”.
L’introduzione motiva il volume e descrive tutti i temi generali relativi a “incertezza” e “archivi” che si dipanano nei differenti contributi. I curatori sono particolarmente interessati ai modi in cui i big data promettono certezza mentre poi generano incertezza.
La realtà è diventata più prevedibile grazie alla raccolta e allo sfruttamento di nuovi modelli di dati. I sostenitori dei big data affermano di essere in grado di anticipare e controllare nelle loro previsioni ogni tipo di rischio in campo economico, ecologico, medico, legale, ecc. Tuttavia le tecnologie basate sui dati prosperano principalmente quando sfruttano opportunità insolite e altamente redditizie nelle situazioni di incertezza, ad esempio nel trading data-driven ad alta frequenza.
Nel volume si sostiene che l’incertezza è una “forma pervasiva di governance del liberismo” e i big data possono essere intesi come strumenti di produzione e distribuzione dell’incertezza all’interno di questo modello.
I big data non solo scoprono e rivelano, ma anche nascondono e aggirano. Organizzano la conoscenza e l’informazione per includere oggetti specifici in modo selettivo, parziale e strategico, negando sempre il loro valore materiale profondo.
Il volume ci invita a dare un senso a questi fenomeni come parte di storie archivistiche più ampie che mostrano quali ingiustizie e preoccupazioni si riflettono nelle pratiche contemporanee dei dati.
La digitalizzazione e altri sviluppi tecnologici incidono anche sul deterioramento dei sistemi di archiviazione. In quest’era di big data, ci è stato detto che il concetto di “archivio è cambiato: si va dal regime dell’informazione del passato al regime della previsione del futuro”. Questo comporta anche importanti cambiamenti nell’ambito e nella natura degli archivi.
I saggi del libro coprono un’ampia gamma di approcci tratti da una varietà di discipline, tra cui filosofia, teoria culturale, informatica, statistica, sociologia, geografia politica, design e studi sulla conoscenza.
Alcuni capitoli introducono concetti e approcci innovativi come il contributo di Sumita S. Chakravarty Migrationmapping, che offre una genealogia critica delle pratiche di mappatura nel caso della migrazione umana e propone di considerare come la creazione di queste fondamentali forme di rappresentazione influenza la nostra percezione del fenomeno.
Si toccano altri temi importanti, come Abuse di Sarah T. Roberts e Expertise di Caroline Bassett, o come l’impegnativo contributo filosofico di Luciana Parisi Instrumentality sulla strumentalità, oppure infine il capitolo di Louise Amoore su Ethics che affronta il tema usando gli argomenti della sua ultima monografia sull’etica dei sistemi Cloud.
La copertura interdisciplinare del libro è impressionante, ma proprio per questo risente di un difetto classico di questo tipo di opere: una dispersione tematica che non sempre lascia intendere con chiarezza il nucleo dell’argomentazione. Sebbene il libro nel suo insieme riguardi i dati, la maggior parte dei capitoli pone maggiore enfasi su tecnologie e sui software basati sui dati.
Nel contributo di Erik Ulman ‘Conversational Agents’, per esempio, si riconosce che “il loro [degli agenti conversazionali come Amazon Alexa, Apple Siri, Microsoft Cortana, ecc.] apprendimento dai big data non è affatto una rivoluzione, ma piuttosto solo un significativo progresso incrementale”. Alla fine rimane indefinito il problema se includere negli “archivi big data” tutto ciò che riguarda la società o una parte limitata rispettando forme più stringenti di privacy.
In definitiva Uncertain archives è una sfida, non semplice, alla definizione di un progetto collettivo che si limiti non solo a definire o mappare un campo, ma vuole costituire un’”alleanza impegnata” per portare una forma di pensiero critico, che appare necessario, nel campo troppo spesso astratto e alienante dei big data.
Postdoctoral Fellow presso l’Università di Copenaghen
Professoressa presso il MIT
Lecturer presso l’University College London
Professoressa presso la Copenhagen Business School
Professoressa presso l’Università di Copenaghen